Monday, May 11, 2015

Sunniti vs Sciiti. Dollari e Corano. La guerra permanente nei Paesi Arabi


"Divide et Impera" (Dividi e Comanda) mai come oggi questo motto dell'Impero Romano risulta adeguato per quello che sta succedendo in Medioriente. Una serie di avvenimenti che hanno sommerso un' opinione pubblica distratta e frettolosa nel sintetizzare il seguente pensiero: Islam uguale Terrorismo e fondamentalismo. Andare oltre a questo muro di stereotipi significa districare il bandolo di una matassa  ingarbugliata, vuol dire iniziare a capire chi sono i veri protagonisti di questa "guerra totale" dove le vittime ed i carnefici cambiano ruolo quasi ogni giorno.
Il primo passo per provare a comprendere la situazione Mediorientale è quella di iniziare a delineare questa immensa comunità di etnie, fazioni e gruppi con i distinguo del caso.
Le correnti nell'Islam sono principalmente due: Sunniti e Sciiti, i primi comprendono circa il 90% dell'intero mondo islamico (Giordania, Arabia Saudita, tutto il Nord Africa, l'Iraq di Saddam Hussein o la Libia di Gheddafi), mentre gli Sciiti occupano un più modesto 10%, in maggioranza assoluta in Iran, troviamo in maggioranza gli sciiti in Iraq, Bahrain e Azerbaijan, c’è inoltre una cospicua presenza sciita in Libano (Hizb Allàh, partito di Dio) in Kuwait e nello Yemen (Zayditi).
La divisione di queste due fazioni avviene dopo la morte di Maometto nel 632 d.C., qui si pose il problema della successione a capo della comunità: una parte dei credenti riconosceva in Ali (cugino e genero di Maometto) il successore designato, ma la maggioranza della comunità riteneva che non ci fosse stata alcuna designazione da parte di Maometto e che spettasse alla comunità l’elezione del “primo califfo“. I primi furono denominati "Sciiti" che riconoscevano alla guida della comunità islamica solo i discendenti di Maometto, fornendo totale potere sia spirituale che temporale all'Imam, egli viene investito dallo stesso Profeta e quindi dall’Imam che lo ha preceduto. Per i "Sunniti" invece qualsiasi musulmano di buona moralità può accedere alla guidà della comunità, essi considerano il successore del profeta il califfo, considerato come il guardiano della Shariah, che gode del potere temporale ma non di quello spirituale, se vogliamo la fazione Sunnita ha delle radici più egualitarie e democratiche, anche se solo in teoria.
I bombardamenti Sauditi (con l'appogio di una coalizione formata da Marocco, Sudan, Egitto e Turchia) in Yemen, peraltro illegali, visto che non hanno ricevuto nessun tipo di approvazione dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU, sono lo sforzo di proteggere gli interessi della Casa di Saud in Yemen, uno degli Stati più poveri del Medioriente e del mondo e di tutelare gli equilibri religiosi della zona. Gli Houti, i ribelli yemeniti/sciiti, cercano di controllare il paese, dopo la fuga del suo presidente Abdrabbuh Mansour Hadi, riconosciuto dalla Comunità Internazionale e dall'Arabia Saudita. Le forze in campo che manovrano la fila sono l'Iran per la lotta sciita e la Casa Saudita per i Sunniti del presidente Hadi, adesso rifugiato a Riyadh appunto. Ma vi è naturalmente il fronte di Al Qaeda, localizzato nel sud dello Yemen e che spinge per impadronirsi di qualche pozzo di petrolio strategicamente importante. La zona meridionale del paese si affaccia sullo stretto di Bab al Mandab, tra Somalia e Yemen, dove passano 4 milioni di barili di petrolio al giorno. Lasciare questa zona in mano jihadista vuol dire mettere a repentaglio il commercio petrolifero Saudita e quindi mondiale, considerando che l'altro possibile sbocco commerciale sarebbe il Golfo Persico sotto diretto controllo Iraniano.
L'influenza saudita nel Medioriente è enorme, dal punto di vista energetico il paese copre il 14% del fabbisogno di oro nero mondiale, le ultime stime registravano oltre 10 milioni di barili al giorno. Geopolitica, religione e fonti energetiche: la strategia saudita di destabilizzare il Mediorente Sciita è chiara: finanziare gruppi Jiihadisti come Al Qaeda o ISIS, supportare con armi e uomini i ribelli anti Assad in Siria, che guarda caso vedono tra le loro fila esponenti del Califfato Nero, mentre in casa propria cercano di combattere Al Qaeda e compagnia. Un punto chiave da comprendere è la dottrina religiosa che si pratica in Arabia Saudita: il wahhabismo, "una minaccia ideologica straordinariamente seria, un movimento totalitario mascherato da religione" secondo l'Ex Direttore della CIA James Woolsey. Un movimento ortodosso ed ultraconservatore, che interpreta in maniera molto rigida il Corano, i wahhabiti credono che tutti coloro che non praticano l'Islam secondo le modalità da essi indicate siano pagani e nemici da combattere. Ideologia che ha diffuso molte scuole e moschee wahhabite in numerosi paesi arabi, fucina ideale per fondamentalismi ed estremisti incappucciati. Il tentativo  è quello di istituire una roccaforte di resistenza sunnita alle frontiere sciite dell’Iran. Ryad combina il sostegno al jihadismo fuori dai suoi confini per contrastare il potere sciita (Iran), e la lotta contro il jihadismo interno che minaccia il regno dei Saud.
Una posizione schizofrenica dal momento che la distanza dottrinale tra il wahhabismo ufficiale saudita e il salafismo rivendicato dai jihadisti dell’ISIS si riduce quasi zero.
Stiamo parlano di uno Stato che ha legami di ferro con gli Stati Uniti, che viene protetto nonostante la totale mancanza di libertà delle donne e la repressione sistematica di qualsiasi diritto civile. Come dimenticare, del resto, che 15 dei 19 attentatori del 9/11 erano Sauditi.
Un politica destabilizzante e pericolosa che è costata la vita a numerosi civili nel nord dell'Iraq, quando le truppe nere del califfato Islamico conquistavano Mosul e Kirkuk. Il tutto grazie a una pioggia di dollari dall'Arabia Saudita e dal Qatar, confermati anche dalle dichiarazione di Richard Dearlove, capo dei Servizi Segreti Britannici M16, dal 1999 al 2004. Un sistema che ha alimentato i movimenti anti Assad in Siria e anti Maliki in Iraq, per la gioia dei jihadisti riforniti di armi e dollari, con il beneplacito di un occidente volutamente distratto sui mandanti reali di questo disastro che sta dilaniando il mondo arabo. " Il Kuwait è l’epicentro del finanziamento dei gruppi terroristi in Siria, mentre il Qatar ne costituisce il retroterra grazie ad un habitat permissivo che consente ai terroristi di alimentarsi", cosi riporta David Cohen, funzionario dell'amministrazione americana.
Gli USA tentano di non farsi invischiare troppo in questa pantano, sopratutto per i recenti accordi, tutti da confermare, con l'Iran, avversario numero uno del regno Saudita. Ovviamente il non coinvolgimento americano è solo di facciata: hardware militari, bombe, rifornimenti aerei, logistica, un supporto fondamentale sopratutto nel recente bombardamento in Yemen.
John Kerry fa la voce grossa con l'Iran dichiarando inaccettabili i rifornimenti che il paese fornisce ai ribelli Houthi in Yemen. Ma lo stesso Segretario degli affari Esteri Britannico, Philip Hammond, ha definito "esagerate le accuse di aiuti iraniani ai ribelli yemeniti". Si parla più di un supporto economico e petrolifero, gli Houthi hanno già armi a sufficienza e non hanno bisogno del mercato Iraniano.
Ancora una volta le considerazioni si basano su dati reali: gli USA sono da 24 anni in Medioriente, per la precisione con l'invasione Iraquena, la guerra a Saddam, le rivolte dei ribelli, la nascita dell'ISIS, i collassi di Afghanistan, Libia, Egitto, Siria, la questione Palestinese ancora nel caos, gli attacchi in Tunisia, e ancora una volta l'unica soluzione disponibile è quella militare. Miliardi di dollari e migliaia di vite umane riassumono in maniera drastica il fallimento totale delle politiche estere statunitensi, volte solo ed esclusivamente a preservare le fonti  energetiche, ad alimentare l'industria bellica, a ridisegnare i confini e demarcare le divisioni settarie, contrastando nuovi e "vecchi" avversari mondiali quali Cina e Russia. Nonostante questi sforzi la svolta verso Est dei paesi arabi appare molto decisa: la Cina è il terzo importatore di petrolio dall'Arabia Saudita, il 10% della popolazione di Dubai è cinese, anche il Qatar sta aumentando i suoi affari con Pechino nella vendita di Gas. 
In questo immenso risiko, in questo complesso scacchiere politico ogni mossa implica molteplici decisioni che prima o poi condizionano tutti i giocatori. Anche Israele ha il suo ruolo di finanziatore dei ribelli (ISIS) in Siria, di avere più di un punto in comune con l'Arabia Saudita nel destabilizzare le comunità sciite, nel controllare lo stretto di Mandeb già sopra menzionato. La strana coppia Israelo-Saudita ha piani ben precisi per fermare il nemico sciita iraniano, quello che, secondo lo stesso Netanyahu, vorrebbe cancellare il suo paese e che risulta estremamente pericoloso per il suo arsenale atomico. Ci sono già piani in continuo aggiornamento per un attacco Israeliano con appoggio di Rihad contro l'Iran.
Eppure basterebbe leggere più di una fonte autorevole sul nucleare per concludere come sia più pericoloso Israele: il suo numero di testate è un segreto internazionale (probabilmente un centinaio), l'Iran non ha nemmeno i macchinari adatti per arracchire l'uranio a scopi bellici.
Israele impegnato nella sua campagnia di "vittima mediorientale" dimentica di comunicare all'opinione pubblica lo spostamento di 3 suoi sottomarini nucleari (acqustati dalla Germania) al largo delle coste Iraniane come riportato dal "Sunday Times", un modo per acutire le tensioni nel golfo continuando a recitare la parte del paese con la colomba sulla spalla e la pistola in tasca. 
Risulta evidente la totale disinformazione dei Media per una zona di guerra che fa notizia solo se qualche ostaggio occidentale o cristiano viene eliminato o se l'impero americano squinzaglia i propri mezzi di propaganda nell'estremo tentativo di mascherare una situazione fuori controllo. Non si parla delle continue esercitazioni militari a cui partecipano diversi paesi arabi sotto il patrocinio degli Stati Uniti. Eccoci catapultiti nella quinta edizione della "Eager Lion" giochi di guerra, per gentile ospitalità della Giordania che vede Kuwait, Bahrain, Qatar, Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi, Libano e Iraq coadiuvati da USA, Gran Bretagna, Francia, Italia, Canada, Belgio, Polonia, Australia e Pakistan. Tutti impegnati dal 5 al 19 Maggio in pratiche di lotta al terrorismo, lanci di bombe nel deserto e cosi via, anche la Giordania stessa ha mostrato la volonta di proteggersi dai miliziani dell'ISIS che premono ai suoi confini. Una sorta di "prepariamoci al peggio", la guerra che si espande, come un virus, di paese confinante in paese confinante è più che una sensazione. Il rullo compressore americano ha aumentato il ritmo trascinando nella preistoria intere Nazioni. La Libia aveva uno dei PIL procapite ed una speranza di vita tra i più alti di tutti i paesi africani, con educazione e sanità gratis. Gheddafi era considerato un interlocutore affidabile, prima che USA/NATO svelassero ancora una volta i loro veri piani: mettere in ginocchio uno Stato e poi ricostruirlo a propria immagine e somiglianza, perlomeno economica. Il leader libico non si allineava alle politiche energetiche imposte da USA ed alleati, sosteneva il "NAM" movimento dei paesi non allineati per il terzo mondo. La Primavera Araba così osannata da organi di stampa e tv come l'inizio di una nuova fase di libertà e diritti per i paesi islamici, si è, in realtà, rivelata terreno fertile per guerrafondai e petroldollari. Progetti di gasdotti plasmano le politiche mediorientali, fanno eleggere o rovesciare il burattino di turno, il tutto in una galassia di totale illegalità che vista dalla terra della banale informazione sembra una stella luminosa.
Le leggi e le condanne sprofondano nel pantano mediorientale. Appena qualche giorno fa "Human Rights Watch" ha accusato l'Arabia Saudita di aver utilizzato le famigerate "bombe a grappolo" durante i suoi bombardamenti in Yemen. (vietate dalla Convenzione dell'ONU e bandite da 116 Stati). In appena sei mesi 1200 civili sono morti ed oltre 300000 non hanno più una casa. Oltre 30 scuole sono state abbattute dai missili sauditi. Riyadh qualche giorno fa ha ospitato la visita del Segretario di Stato Americano John Kerry, che ha avuto anche il coraggio di raccomandare attenzione e precauzioni del caso nei bombardamenti in Yemen, poco importa se la maggioranza di quelle armi mortali e proibite in numerosi Paesi sono vendute proprio dagli stessi Stati Uniti. Una guerra totale che cambia nome solo per una questione geografica: Libia, Somalia, Egitto, Siria, Yemen, Palestina, Libano, Iraq, Afghanistan, stesso copione, si usano i palscoscenici locali per interessi globali e mondiali. Il caos è l'aspetto fondamentale per rimanere permanentemente in medioriente, finanziando gruppi settari e jiihadisti, bombardando strutture ospedaliere, scuole ed acquedotti, rendendo ogni paese un cumulo di macerie da spartirsi con gli altri alleati piegati ai voleri di Washington.
Corano e petrolio, fondamentalismi di comodo e fiumi di dollari, marionette locali con lunghi fili che arrivano fino a Washington o Tel Aviv, Mosca o Riyadh dove i veri mandanti muovono le pedine. Dopo 24 anni il medioriente è diventato una polveriera, una fabbrica di estremisti incappucciati, un immenso campo profughi, luogo di morte, rancore e disperazione.  Mentre i giornali fabbricano stereotipi per le masse bisognose di risposte facili e spesso razziste......e le macerie comprono la verità.

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